Afrodite…. (F. Errani, G. Civita)

da | Giu 30, 2013 | Blog | 0 commenti

E quando passa la bella Cipride,
 inarcando la curva perfetta delle reni
fieramente mostra l’oro degli ampi seni
e il ventre nevoso orlato di nero muschio…
(Arthur Rimbaud)

Il mese di Aprile richiama foneticamente il verbo latino aperire (= aprire, scoprire, esporre, irrompere in) e aprìcosi dice in letteratura di un luogo aperto, soleggiato. Il mese che sta per cominciare, insomma, rimanda col suo nome al risveglio generale della natura,  un’ autentica apertura che si manifesta con modalità allo stesso tempo dolci e impetuose, con l’effusione generosa di fiori e di spore, accompagnata dall’ attività instancabile dei becchi e dei pungiglioni di uccelli e insetti che si nutrono delle corolle dei fiori. Per molti aspetti il mese di Aprile è legato alla coppia divina Marte-Venere, di cui abbiamo fatto la conoscenza in febbraio[1].

In quest’ultimo articolo dedicato alla mitica coppia di amanti, le nostre considerazioni riguarderanno prevalentemente Afrodite-Venere, senza dimenticare però che accanto a lei c’è sempre Ares-Marte, il suo compagno inseparabile. Ormai sappiamo che il mito della loro relazione appassionata è lì a ricordarci che dentro di noi convivono, strettamente intrecciati, influssi venusiani e aspetti marziali che non sono disposti a essere trascurati o repressi, ma aspettano di essere riconosciuti e apprezzati insieme alle altre parti che compongono la nostra variegata personalità.

E ora proviamo a conoscere più da vicino Afrodite. Fin dalla sua nascita spettacolare, la dea lascia  presagire le sue straordinarie qualità: “L’anima della Terra era ancora giovane e fragile quando Afrodite emerse dalle acque. Trasportata dai venti caldi e carezzevoli dell’est, approdò all’isola di Cipro. La nascita di una Dea talmente aggraziata, al tempo del risveglio primaverile, fece accorrere le Stagioni che, sedotte dalla sua bellezza, la implorarono di fermarsi per sempre. La Dea sorrise, ben sapendo che le opere di Afrodite non hanno mai sosta, perché il desiderio continuamente si rinnova. Desiderosa poi di vedere tutte le creature viventi, avanzò sulla spiaggia ghiaiosa e vagò per colline e pianure. La sua magia risvegliava un desiderio languido in tutti gli essere che sfiorava. Gioiosamente li invitava a unirsi in coppia.

È la bella Dea che benedice il ventre delle donne, lo protegge mentre si gonfia, e al momento del parto allevia i dolori. Ogni giorno il bacio di Afrodite rende la Terra umida di rugiada. Il suo vagare la conduce lontano, eppure a ogni primavera fa ritorno a Cipro con le sue colombe, alle spiagge Paphos dove rinnova il suo bagno sacro. Le Grazie, Fioritura, Crescita, Bellezza, Gioia, Radiosità, assistono la Dea durante il bagno, la incoronano di mirto e gettano al suo passaggio petali di rosa. Quando Afrodite si immerge nelle onde muovendosi al ritmo delle maree, rinnova il suo spirito come una primavera che risveglia la vita, e tutte le creature partecipano alla sua gioia.

Il potere di Afrodite permane inviolato attraverso le stagioni, gli anni, le ère: è lei la custode dei misteri dell’amore da cui dipende ogni vita”.[2]

Nel racconto mitologico, la Dea nata dalla schiuma del mare approda sulla terra e diventa una forza civilizzatrice, iniziando gli uomini primitivi al gusto del bello e all’arte di vivere. Nella mitologia greca anche Apollo partecipa all’opera civilizzatrice dell’umanità con i suoi doni: la razionalità e il rigore formale, “ma a che serve lo splendore di Apollo senza la gioia di vivere e senza tutto ciò che rende bella e viva una civiltà? Afrodite educa i barbari alla gradevolezza dei profumi, al gusto per i fiori, all’eleganza degli abiti e alla raffinatezza dei monili, e il fondamento di questa educazione è l’arte d’amare”. [3]

La Dea ci confronta anche con il tema della Bellezza, e ci invita a esplorare più a fondo questo concetto, senza farci limitare o condizionare dagli stereotipi che i media ci propongono. Infatti il culto di Afrodite ha poco a che fare con i “canoni di bellezza” concepiti dalla nostra cultura… “La bellezza afroditica è approssimabile più a uno stato di grazia, in cui si fondono fascino e audacia, che a un’adesione e un canone stabilito. L’erotismo afroditico non può rivelarsi fino a che l’individuo prova disagio o avversione verso la propria persona (o verso il compagno). Quando non ci si percepisce come esseri desiderabili e gradevoli, le manifestazioni di seduzione e la gestualità erotica provocano disagio e vergogna”.[4]

Il gusto del bello non è un fatto puramente estetico: a un livello profondo incide sul nostro benessere psichico e anche fisico: “La psicologia sembra non prestare adeguata attenzione al carattere patogeno di un ambiente “brutto”… Quando domina la depressione sopravvivono solo i gesti indispensabili alla sussistenza; l’individuo depresso non ha più energie da dedicare ad Afrodite: l’abbigliamento, la cura della persona si deteriorano, non si veste a festa il proprio bambino, non si abbellisce la tavola, non si corteggia più nessuno; sopravvive solo ciò che è strettamente necessario… Al di sotto di una certa soglia, la bruttezza e lo squallore minacciano la salute psichica… Perché nell’aiutare il depresso a recuperare l’appetito o il sonno non includiamo nella nostra terapia elementi afroditici? Gli arabi avevano compreso già nel nono e decimo secolo che un giardino fiorito, la compagnia di poeti e musicisti e una buona tavola sono essenziali nei luoghi di cura. Nella nostra cultura, che privilegia la potenza civilizzatrice di Apollo e trascura quella di Afrodite, la maggior parte degli ospedali, dei luoghi di lavoro e spesso delle abitazioni somigliano più a caserme che a templi di Afrodite”.[5]

Afrodite-Venere non ha avuto vita facile  nella cultura occidentale. Fin dall’inizio dell’epoca cristiana i suoi culti e i suoi templi sono stati oggetto di particolare attenzione e spesso sono stati  snaturati o distrutti, perché nella nuova prospettiva religiosa la vera bellezza appartiene al mondo angelico e si realizza pienamente solo nel mondo ultraterreno. Ma, a dispetto di tutti i tentativi di trasformazione  o di repressione, Venere non è scomparsa, anzi si afferma in tutti i modi, anche nelle forme più subdole o sguaiate, proprio dove i tentativi di repressione sono più forti.

Giulio Cesare usò l’appellativo di Venus victrix (Venere vincitrice) come parola d’ordine per i suoi soldati e questo appellativo di Afrodite descrive un dato di fatto: Venere non si lascia eclissare, finisce sempre per trionfare a livello sociale e nella vita personale, a nostro beneficio se le dedichiamo attenzione, contro di noi se la disprezziamo o la malmeniamo. Il tipo di amore che questa coppia divina ispira e sostiene non è certo senza mordente o senza nerbo: è coinvolgimento, intensità, capacità di mettersi in gioco e di ricominciare, senza farsi spaventare dai conflitti, dai momenti di noia, dal passare del tempo… è la dea che “addomestica la fretta ma non la passione”[6].

Vale la pena rivolgersi a lei come fa Lucrezio all’inizio del suo poema dedicato alla Natura:

“O Venere donatrice di vita… grazie a te ogni essere vivente viene concepito e vede la luce. I venti e le nubi del cielo si dissipano al tuo arrivo; sotto ai tuoi passi la terra germina fiori soavi, a te ridono le pianure del mare e il cielo rasserenato sfavilla di luce infinita. Appena si schiude l’aspetto primaverile del giorno e si libera il soffio fecondo di Zefiro, subito gli uccelli dan segni di te e del tuo arrivo, scossi nel cuore dalla tua potenza. Preso da incanto, ogni essere vivente ti segue bramosamente dove tu vuoi condurlo, e così, infondendo nel petto di tutti gli esseri le dolci attrattive dell’amore, fai in modo che le stirpi si riproducano. Tu sola governi la natura e senza di te niente emerge alle spiagge divine della luce, niente cresce gioioso e amabile…”.[7]

Aprile 2007.

Copyright Franca Errani e Giovanni Civita, 2007. Se utilizzi l’artioclo, in tutto o in parte, grazie per citarne la fonte.

 


[1] Cfr.J.Hillman, Un terribile amore per la guerra, Adelfi, 2005
[2] G. Paris, La rinascita di Afrodite, Moretti e Vitali, 1997, p. 43
[3] G. Paris, cit., p. 51
[4] G. Paris, cit. p. 54
[5] G. Paris, cit. p. 63
[6] J. Hillman, cit. 257
[7] Tito Lucrezio Caro, De rerum natura, vv. 1-ss.

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