“Come faccio a prendermi cura della vulnerabilità?”

da | Giu 22, 2015 | Blog | 0 commenti

Stamattina mi sveglio fiacca, triste, svogliata; so che ho diverse cose da fare durante la giornata ma tutto mi sembra insormontabile – e per di più senza scopo. So che nella mia stanchezza ci sono anche ragioni reali – questi giorni intensi, il terremoto che continua, l’andare a Bologna di frequente per prendermi cura dei miei cari… ma il velo che mi circonda è così spesso che… mi rendo conto di aver bisogno di far parlare “qualcuno” (o più di uno!) dentro di me. In questi anni mi sono abituata, nei casi di emergenza, a farmi le sedute da sola.

Cosa che non consiglio a chi non abbia una buona e lunga esperienza di facilitazioni con una persona reale davanti, ma che chi ha molto lavoro alle spalle può tentare[1]. Personalmente utilizzo anche una sedia davanti a me, esattamente come se ci fosse un counselor seduto che mi può fare le domande. Insomma creo un setting identico a quello reale. Siccome poi posso scegliere chi mi pare, in genere sulla sedia immagino sia seduto Hal Stone, con cui ho lavorato e che so mi può togliere dai guai con domande brillanti, nel caso finissi perduta in qualche sé in modo troppo intenso…

Hal è tranquillo e sorridente, resta in silenzio (!) mentre mi concentro…

La prima parte che emerge vuole sdraiarsi a terra, rannicchiata contro la parete sotto la finestra, da cui entra una lieve brezza. Mentre vado lì raccolgo rapidamente una copertina e un cuscino, spinta da lei, la Bimba. E’ tristissima. Appena mi rannicchio, si mette a piangere. Piange per il terremoto, per le vittime, per nostro fratello che ha perso la casa, per tutti quelli che hanno perso la casa, la vita… è disperata. Piange a lungo; piange anche la sua paura che queste scosse continuino e possano colpire ancora, ha paura che possa crollare anche la nostra casa, o che succeda qualcosa ai figli… alle nipotine… o a Giovanni! Piange e piange e la mia coscienza vaga sullo sfondo, tenuta con un filo delicato da Hal. Dice tutte le sue paure, e il suo amore per tutte queste persone, dice la sua stanchezza. Dormire è sempre stata una protezione: quando eravamo piccole, e a volte il padre tornava a casa irascibile e cupo, il sonno era una scusa grazie alla quale ritirarsi nel nostro lettino, rannicchiate, e volare via… E ora fa lo stesso. E’ troppo, e vuole dormire! Resto ancora a lungo in questo mondo, fatto di dolore, pianto, tenerezza, paure…

Tornata al centro, mi rendo conto di quanto, nelle ultime settimane, avessi preteso da me di essere sempre e comunque quella “forte” che regge le situazioni! Sento il dolore e la paura della Bambina, e qualcosa si scioglie dentro, nella zona del cuore.

Sento sempre il sostegno di Hal… testimone invisibile e presente al tempo stesso, rappresenta quel “filo” che mi lega alla consapevolezza e mi permette di continuare a esplorare.

Mi sento spinta a stendermi sul divano: qui non sento la stanchezza della Bambina né dolore, ma un lento e piacevole stato dell’essere che si delinea sempre più chiaramente. Si definisce come il “letto del torrente”: le emozioni scorrono, i pensieri vanno, ma lei, questa energia fuori dal tempo, è lì, presente, solida come i suoi sassi su cui l’acqua rimbalza, le sue sabbie compatte, le sue rocce. Una sicurezza pacata emerge da questa esperienza, e percepisco che anche la Bambina si sente rassicurata – come se potesse mettersi al sicuro in qualche piccola insenatura sulla riva….

Al centro, sento che la presenza di Hal è meno forte: come se, usciti dalle zone più difficili, emotivamente, ci fosse meno bisogno di qualcuno che regga il filo della mia consapevolezza.

L’ultimo sé che parla è l’energia legata al fare; sento un moto verticale, radiante, mi alzo e lascio emergere questo sé, che è lucido, attivo ma non ossessivo; mi richiama con autorevolezza all’azione, perché si sono scadenze, che sappiamo, priorità, che ci siamo dati, e così via. Mi piace anche quando questo sé sottolinea che “lui” (è maschile) non è che ha degli obiettivi precisi: sono io che glieli do. Se facessimo pizze, lui si organizzerebbe come capacità di azione in quel campo; quando lavo i piatti, lui c’è e allo stesso modo c’è quando debbo parlare in pubblico a una conferenza. Insomma, azione pulita, chiara, legata agli obiettivi che a mano a mano mi do.

Ecco, torno al centro per la terza e ultima volta. Hal si dissolve in una nebbiolina aggraziata. Mi siedo io nella sedia del facilitatore, o meglio la sposto un poco per entrare nella zona della “Visione Lucida” e osservare il movimento delle energie. Sorrido. Sto meglio. Sento la bimba più accolta e protetta.

Accolta dall’energia fuori del tempo del letto del torrente, che è sempre lì, sempre presente in modo calmo e silenzioso – mi basta sintonizzarmi e lo trovo – e protetta da me, che posso agire nel mondo con efficienza e con la sensazione di “potercela fare” – cosa che perdo quando piombo dentro al mondo vulnerabile in modo esagerato, annegando assieme alla Bambina anziché sostenendola! In questo caso la protezione è canalizzata anche attraverso l’aspetto maschile d’azione che ha parlato come terzo elemento della seduta. Il sé dell’essere, che accoglie, porta il mio movimento, dal centro (o io cosciente) verso l’interno: mi raccolgo, anche solo per pochi secondi, e la mia energia si rivolge dentro. Quando l’accoglienza è sicura, ecco che il movimento dell’energia si può rivolgere verso il mondo, e la sensazione è quella di potercela fare, di volerlo fare, di divertirsi anche, a farlo (qualunque sia il compito in oggetto).

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Vi ho portato un esempio mio, reale e recentissimo, sul tema della vulnerabilità, perché una delle domande che mi viene fatta più spesso, nei corsi o nei colloqui individuali di counseling, è “ ma come faccio, a prendermi cura della mia vulnerabilità?”

Chi conosce il Voice Dialogue sa che il tema della vulnerabilità è al cuore del Modello, perché, quando non sappiamo riconoscerla e proteggerla adeguatamente, ci spostiamo in modo inconscio e automatico nei nostri Aspetti dominanti, usando un qualche tipo di potere che ci allontana da essa (e  dai sentimenti di disagio abbinati) ma al tempo stesso ci distacca dagli altri e non ci permette di trovare modalità nuove di risolvere il disagio stesso.

Cosa intendiamo, con il termine vulnerabilità, nel linguaggio del Dialogo?

Innanzitutto, partiamo dalla sua etimologia: vulnerabilità, dal latino vulnus, ferita, significa la capacità umana di sentirsi feriti a livelli emozionale, di sentimento. Feribilità dunque. Per essere ferito emotivamente devo essere aperto e ricettivo a tutta la gamma emotiva. La Vulnerabilità è la nostra straordinaria capacità di sentire una gamma amplissima di emozioni, sentirle fino al punto di poterne essere feriti. E’ chiaro che, quando la vulnerabilità, portata dalle nostre Parti bambine, emerge senza una protezione adeguata, ci rende fragili nel mondo, attaccabili; se tuttavia la richiudiamo nello sgabuzzino dell’anima con una corazza protettiva,  non riusciamo né a sentire veramente noi stessi né a muoverci nel mondo in modo autentico.

Il recupero della Parte bambina è centrale nella visione del Dialogo, perché solo quando il suo Mondo potrà essere riconosciuto, accolto e protetto dal nostro Io cosciente potremo trovare risorse nuove e cambiare gli schemi automatici di comportamento che si sono rivelati inefficaci o limitati.

Quando le persone iniziano questo percorso di scoperta, accanto alla commozione, al fascino del recupero del Mondo Bambino, iniziano i dubbi e le incertezze: “Ora che ho scoperto la mia Bambina, e come si sente sola e fragile, come faccio? Cosa faccio?”.

Viene istintivo pensare al “fare”, all’agire: il cosa e il come emergono spontanei, perché è così che in genere risolviamo i nostri problemi: agendo. Ovviamente non vi è nulla di sbagliato, nel cominciare a “fare” cose diverse: rallentare certi ritmi, visualizzare la Bambina/o magari prima di addormentarsi, utilizzare le diverse tecniche che vengono anche insegnate ai corsi, come il disegno o la scrittura con la mano non dominante. Sono tutti modi che aiutano a creare la relazione con la Parte bambina, che comincia a fidarsi della persona, comincia a sentire che esiste qualcuno che la “vede”, che sta imparando a prendersi cura di lei in modi nuovi.

Un mondo molto importante, tuttavia, è anche quello dell’”essere”. Imparare a creare il contatto con le energie dell’essere crea uno spazio di quiete, di calma e silenzio, nel quale il mondo bambino ama stare – sto parlando in particolare del mondo vulnerabile, che è oggetto di queste riflessioni[2].

Nel tempo quindi, quanto più la relazione interiore tra me e la Bambina diventa naturale, il contatto è  più facile: basta un momento di raccoglimento, uno spazio di silenzio anche di pochi minuti, un sentirla nel cuore, un dirle alcune parole di affetto o di rassicurazione.

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L’esempio che vi ho portato, di una “seduta di emergenza con Facilitatore Invisibile (ma Esperto) NON vuole essere un invito a fare altrettanto, specie se non hai una lunga esperienza di sedute “reali”. Ma mi premeva farti cogliere il flusso dell’energia, la dinamica interna che può essere diversa in ogni caso, ma che, nel caso della vulnerabilità, ha sempre a che fare con due temi: “accogliere” e “proteggere”.

Quello che scoprirai, una volta che hai creato il contatto con la tua Bambina /Bambino attraverso qualche seduta di Voice Dialogue,  è che riconoscerlo e contattarlo anche da solo/a diventa più facile. Tuttavia, in condizioni di stress – come quelle in cui mi sono ritrovata io – è possibile perdere il contatto e ci vuole un po’ più di dedizione; può essere fermarsi, raccogliersi in sé stessi, visualizzare o meditare… insomma dare uno “stop” al movimento verso l’esterno e il fuori (azione, potere) e tornare verso l’interno e il dentro (essere, silenzio, intimità).

Nel mondo dell’essere vi sono tanti livelli e tante sfaccettature. Nel caso che ho descritto il “letto del torrente” è una buona via per entrarvi; ve ne possono essere molte altre, legate in genere alla Natura, o a percezioni sottili di una Realtà più Ampia che ci circonda.

Mi auguro che questi spunti ti aiutino a riflettere sui tuoi modi per accudirti, e magari a trovarne di nuovi. Se non lo fai, la vulnerabilità trascurata si legherà agli altri, generando invischiamenti nei rapporti; gli aspetti di potere prenderanno il dominio dell’io e la vita diventa più pesante e di “lotta”.

Una considerazione più ampia: i grandi stress che stiamo vivendo in quest’epoca – economici, geologici, politici ecc. – stanno amplificando le vulnerabilità di tutti. Lo spostamento collettivo nel potere spinge a trovare le soluzioni solo attraverso la contrapposizione, l’odio per determinate categorie, il gioco antico del “divide et impera”, il disprezzo. La paura vibra dentro e attorno a tutto ciò. E’ diventato ancora più importante imparare ad accudire il mondo vulnerabile se vogliamo trovare, dentro di noi, risorse nuove e quindi vie nuove per uscirne!

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