MATILDE di Franca Errani

da | Nov 3, 2016 | Blog | 0 commenti

L’arrivo di un figlio è delizia e problema. I genitori si sentono inadeguati. Ma può anche essere un momento di guarigione del proprio mondo interiore. 

 

Non lo sopporto, quando entra con la faccia truce.

Cupo, fronte corrugata, sopracciglia tempestose, bocca stretta. Uguale a mio padre, perfino la mascella serrata come lui, quando tornava di pessimo umore e non gli andava bene niente. Fausto dice che non è di cattivo umore ma solo stanco, e ammetto che la prima cosa che fa, dopo essersi lavato le mani, è prendere in braccio la bimba e farle fare un giretto, per permettermi di riposare.

Sono dieci mesi che piange. Da quando è nata, e il suo primo rumoroso pianto mi è entrato nel cuore come una gioia, lei urlava che era viva, che l’aria le riempiva i polmoni, insomma tutto era nella norma. Poi il suo pianto è continuato e non ha mai smesso. Altro che urlo di vita. Questo è uno strazio, un lamento, una pretesa che mi farà morire. Non posso pensare che duri ancora qualche altro giorno, e invece temo che durerà per l’eternità.

Matilde piange; solo mentre mangia non lo fa, perché ha il capezzolo o il biberon in bocca. Le darei da mangiare sempre, per farla tacere. In quei minuti, sorrido. Chi mi vede mi dice, che mamma innamorata che sei, della tua bimba! Invece io la strozzerei con le mie mani, la piccola strega che la vita mi ha regalato.

Eppure, streghina mia, come ti ho desiderato! Quando abbiamo saputo di te, Fausto e io eravamo ubriachi di felicità, ed è bello, bello, sentirsi così; anche quando ero verso la fine e veleggiavo come una mongolfiera tra il letto e la poltrona, mi sentivo una dea, una dea sferica e paciosa, radiante e completa in se stessa. Perfino Mozart ti facevo ascoltare, e la sera Fausto, che allora non aveva la faccia truce, quando arrivava appoggiava la testa sulla mia pancia-cupola e faceva la radiocronaca dei tuoi presunti spostamenti, capriole, sorrisi. La gravidanza più bella che potessi immaginare, ti rimetterei là dentro subito, gravida a vita, tonda come una mela, amata come la dea-madre.

Ovvio che i miei pensieri omicidi me li tengo per me con annessi sensi di colpa; Fausto ti adora e mi adora, appena viene si dà da fare per alleviarmi il carico, è un padre premuroso, niente da dire. Ti fa il bagnetto, ti porta a passeggio, ti dà l’ultimo biberon prima della notte…. Io intanto dormo. Dormirei attaccata ai muri, dormirei sotto la tavola, dormirei per terra e ovunque; se ho dieci minuti subito penso che potrei dormire, ah, che meraviglia! Ho imparato ad addormentarmi in pochi secondi, come pare facesse Napoleone che ha sconfitto un sacco di eserciti ma sarebbe stato stroncato da te, Matildina mia, insaziabile tiranna delle nostre vite.

Che poi, sei sanissima. Ovviamente ti abbiamo portato dai migliori specialisti della città e poi anche del Paese, e loro ci hanno tutti rassicurato che non è niente. Provato vari rimedi, giusto per avviarti al sonno, ma su di te passano come acqua che corre in un torrente alpino a primavera, al disgelo, sai quando l’acqua romba e spumeggia ed è una meraviglia… Io e Fausto adoravamo camminare lungo i torrenti, qualche secolo fa.

Poi, c’è tua nonna.

La madre di Fausto intendo, perché la mia con la sua follia è meglio che stia distante, e per fortuna non abita neppure qui. La madre di Fausto è generosa, viene regolarmente, lei e suo figlio che è poi tuo padre si danno da fare per alleviarmi dal tormento della mancanza di sonno, nella certezza che presto questo scompenso finirà. Sono tutti così teneramente ottimisti, rassicuranti, pare che ci credano, che prima o poi la bimba smetterà di urlare, di singultare, di trattare il fiato e diventare rossa, con quel faccino contratto e tignoso, che sembra che voglia soffocarsi da sola, per poi riprendere con un urlo da Polifemo che lacera i timpani a tutto il condominio. Ora, la cosa che mi manda in bestia è che in effetti tu, con tua nonna, taci. È successo quasi subito, e all’inizio questa cosa mi ha estasiato. Non ho pensato a null’altro che raggiungere il letto, coprirmi bene e sprofondare nel sonno. E razionalmente ne sono felice anche ora, io riposo, tu tiri il fiato. Fausto quando arriva se ne accorge subito, che nel pomeriggio è passata sua madre, la serata è più rilassata anche se nel frattempo tu hai già ripreso a frignare.

Che dire?

Tutti abbiamo gridato al miracolo, la madre di Fausto che è una signora bene educata ha evitato di mostrarsi eccessivamente soddisfatta di questo “suo” risultato, giusto quel tanto di piacere legato al fatto che finalmente Tamara, che sono poi io, poteva riposare… Si si, Tamara riposa, la bimba tace, con la testolina rotonda e lanuginosa appoggiata sulla spalla della nonna che cammina incessantemente, su e giù, salotto, corridoio, su e giù, affermando che, se si fermasse, il miracolo cesserebbe… Sappiamo bene, tutte e due, che non è vero. Matilde in braccio a nonna Antonia dormirebbe anche appesa a testa in giù. Cara Antonia, apprezzo la delicatezza, si vede che sei una persona di sentimento. L’unica sbavatura fu quando, a un mio chiedermi a voce alta, ma tra me e me, da cosa mai potesse dipendere questa cosa, tu, incerta, balbettasti qualcosa a proposito, che so, degli odori…

Gli odori??? ma una bimba l’odore della sua mamma dovrebbe riconoscerlo tra mille, tra un milione di altre mamme! Il profumo della pelle, il tepore del seno, il buon odore del latte… non sono credenziali abbastanza potenti, eh? Mi sono ripetuta mille volte che nonna Antonia non volesse dire nulla di più, magari pensava, che so, a qualche rimasuglio di detersivo sulla mia maglia o alla crema idratante.. di fatto questa cosa dell’odore mi macina dentro e può darsi che alla fine io, per mia figlia Matilde, puzzi.

Ieri sera Fausto si è alterato, quando gli ho detto che ha sempre la faccia truce. Intanto non è sempre, si è difeso, e poi non sono truce. Sono preoccupato. Per te, per la bimba… ma anche per il lavoro che è calato spaventosamente, non volevo dirtelo per non preoccuparti ma se devi sempre offendermi allora te lo dico, ecco. Non immaginavo che la parola truce potesse essere offensiva, gli ho detto. Lui ha detto che gliela ho sbattuta in faccia per settimane e settimane e che ogni volta che rientra in casa, la sera, si ferma un attimo sul pianerottolo a respirare, per farsi forza per questa mia offesa, che l’unica cosa che gliela ha fatta tollerare è che sa quanta fatica sto facendo con Matilde, ma insomma anche lui è stanco, affaticato e molto preoccupato, solo lui porta a casa i soldi e chissà per quanto tempo sarà così, con la piccola che è problematica. Problematica? Questa sì che è un’offesa, gli ho detto, Matilde sta mettendo i dentini, tutto qui.

Ora, per una madre come me, che ha spesso la fantasia di lanciare la creatura fuori dalla terrazza dell’attico all’ottavo piano che abbiamo la fortuna di abitare, questa difesa della figliola è stupefacente… Fausto mi ha abbracciato, siamo stanchi tutti e due, ha mormorato, e siccome per qualche secondo Matilde, strizzata tra di noi, ha taciuto, ho vissuto una meravigliosa sensazione di possibile felicità, una morbidezza che mi ha sciolto dentro, come se ci fosse un porto, un approdo a cui arriveremo, e saremo salvi.

Poi di notte, mentre dormivo, ho fatto un sogno.

La cosa tragica è che nel sogno c’era un pianto. Oh no, mi sono detta, non anche qui! non anche nei sogni! Perché ero consapevole di stare sognando, cosa che non mi era mai capitata. Un pianto se possibile ancora più lamentoso di quello di Matilde… ero in una casa sconosciuta, ma poi mentre cercavo di raggiungere questo pianto ho visto che le scale che scendevano erano quelle della cantina dei nonni, quindi anche la casa doveva essere la loro, ragionavo… così scendo le scale, lentamente perché è buio, c’è solo un leggero chiarore che non so da dove venga. Il pianto ha come un’eco, come se venisse da una stanza completamente vuota… ricordo che da bambina andavo in cantina con il nonno e non avevo paura, perché lui aveva una mano grande e calda e un poco callosa, una mano sicura. Stavo da loro, dai nonni, per tutti i lunghi mesi dell’estate, così la mamma, mia mamma, poteva essere curata meglio, alleviata dalla fatica di stare dietro a me. Questo lo avevo imparato bene e sembrava una cosa giudiziosa.

Così continuo a scendere, sento perfino l’odore di legno vecchio, di cera, di vino, di segatura … ma ora c’è anche odore di polvere e ragnatele e muffa. Poi la vedo. È una bimba. Anche lei, mi dico. La bimba si gira, è sotto la grata di aerazione che dà sul cortile… e le vedo il faccino e sono io. Avrà circa cinque anni. È magra e con i capelli raccolti in due codini polverosi. Sono proprio io, non c’è che dire. E piango. La bimba piange e la odio perché piange come una neonata, piange disperata, sconsolata e lamentosa, pur avendo già cinque anni! Non so che fare. Lei mi guarda e raddoppia il pianto, poi smette di piangere e tira su col naso. È sgradevole, il moccio le scende verso la bocca e lei non fa nulla per cavarlo, neppure un piccolo gesto. Mi irrita. Intanto dietro di me sento che c’ qualcuno. È un uomo e anche lui è irritato, forse anche più di me. Come dargli torto? Intuisco che vuole darmi qualcosa, così mi giro, non lo vedo bene perché lui resta nell’ombra, sembra grande, forte, sicuro di sé, molto antico. Mi dà un coltello, un coltellaccio di quelli da cucina, e mi dice deciso e freddo, forza, è ora di farla finita.

Io l’ ho preso, il coltello. Era tutto così vivido che sentivo il peso della lama e il liscio del manico di legno sul mio palmo. La bimba ora taceva e mi guardava negli occhi, con quel suo moccio insopportabile. Un colpo secco alla gola, ecco quello che ci vuole, mi sento borbottare. Lei singulta, piano. Poi un calore grande mi allaga il petto, e mi esce un grido, Ah no!, e butto il coltellaccio e corro da lei e la rassicuro, che non sono quella cattiva che ha visto un attimo fa. L’uomo è sparito. Io abbraccio la bimba, risaliamo insieme le scale. Ho paura di ritrovarlo al piano di sopra, ma non c’è nessuno. Le mostro il cortile, fresco di primavera. I due tigli all’entrata sono ancora là e mi viene da piangere. Così piangiamo insieme abbracciate, e così mi sono svegliata. Pare che piangessi veramente, perché Fausto era chino su di me, preoccupato.

Stamattina Matilde dorme.

È un tale miracolo, vederla così rosea, distesa, perfino con un leggero sorriso sul faccino tondo. Fausto sta per andare al lavoro, ma si ferma accanto a me, mi mette il braccio sulle spalle, mi stringe… saremo felici, noi tre, vedrai… mi dice. Gli sorrido – noi quattro, vorrei dirgli, ma temo che non capirebbe e poi, forse, non ho capito bene neppure io.

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Si cresce meglio insieme.

 

Franca

 

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